Cosa resta del mito Schumacher? La rentrée sterile l’ha demolito o piuttosto umanamente rafforzato? E poi siamo sicuri che il Kaiser ne abbia abbastanza?
di Marco DonniniSull’addio a fine stagione tra Schumi e la Mercedes è stato spiegato tutto. Non c'è nulla da aggiungere, la situazione è chiara. È solo questione di tempo. Non è più l'ora delle notizie, questa, ma delle riflessioni.
Da focalizzare, semmai, è solo il versante dei bilanci agonistici ed esistenziali di questa esperienza. In altre parole, è stata davvero un fallimento, tanto da sbiadire la sua immagine? E per quali motivi, per la prima volta nella sua vita, Michael non è riuscito a fare la differenza, cucendosi addosso la macchina? Di più. L'eptacampione, che in queste 3 stagioni e in 53 gare non ha mai rischiato di vincerne una, s'è mostrato davvero bollito? E il confronto col compagno di colori Rosberg s'è rivelato complessivamente imbarazzante?
Di certo c'è solo il punto di partenza. Michael Schumacher era tornato per vincere. Il "cosa" era trattabile. Minimo alcuni Gran Premi, massimo l'ottavo titolo.
A fine 2010 il quotidiano svizzero Blick stimava che l'introito annuale del ritorno di Schumacher per la stagione - appena terminata con uno spaventosa collisione con Liuzzi a Abu Dhabi -, era stimabile in circa 21 milioni di euro pagati dalla Mercedes, un terzo dei quali coperto dagli sponsor, più un movimento complessivo attivo di capitali - comprendente sponsor personali, attività promozionali, marketing, introiti di merchandising e indotto vario - stimabile attorno ai 50 milioni di euro annuali.
Quando ha rinnovato per il 2012, in tempi di crisi mondiale, di pensoso buon senso Mercedes e con un palmarés recente non irresistibile, il Kaiser è passato a un contratto di 8 milioni di euro annuali più quasi altrettanti garantiti dagli sponsor personali. In poche parole, relativamente a questi tre anni, Schumi passa alla storia - e molto probabilmente ci resterà per sempre -, per essere il pilota non vincente meglio pagato di tutti i tempi.
Detto questo, le sue antiche parole dell'inverno 2009: «Torno ai Gp per puro divertimento» si verniciano d'una patina di simpatica paraculaggine, smentibile solo se si riconosce che oltre a correre in Formula 1 anche ritirare i bonifici in banca, in fondo, risulta essere piuttosto divertente
Spinte motivazionali profonde
Però c'è dell'altro. Schumi resta un personaggio dal magnetismo mediatico unico. Uno che, volendo, qualsiasi cosa fa, guadagna. Pure senza correre. Quindi i soldi non possono essere stati la molla esclusiva o prevalente della sua rentrée.
E qui si entra nell'esistenziale. Il movente prevalente del ritorno è stato un altro. Dirsi che non è finita. E crederci. A un'età in cui hai già indagato la vita e la vita stessa comincia a indagare la tua prostata, combattere il tempo. Prolungare quasi faustianamente la giovinezza in una volontà di potenza esprimibile in una rassicurante competitività ritrovata.
Sì, l'ha fatto per questo e per un altro motivo. Perché ha fegato. In fondo nei due anni precedenti, piuttosto che godersi la vita, s'era vestito da centauro con una monopezzo in pelle, sparandosi a trecento all'ora sulle piste di mezza Europa in sella a una derivata di serie. In poche parole, la cosa più pericolosa concepibile nel motorsport, a parte correre il Tourist Trophy e le altre classiche stradali. E mica per soldi: per una merendina. Rischiando di rompersi l'osso del collo e andandoci anche ragionevolmente vicino.
Un uomo, non più un ragazzo
Eccolo, è fatto così l'uomo maturo che ha deciso di entrare gioiosamente in questo triennio spigoloso, periodo lucido e argentato come una Mercedes, ma che somiglia pure a un tritacarne.
Lui è ben diverso dal ragazzo perfettino, agonisticamente scorrettino ma strategicamente e velocisticamente micidiale che aveva vinto 7 titoli lasciando la maggioranza della gente ammiratissima ma un po' frigidina. Perché Schumi parlava ore e ore senza dire niente. E mai in italiano. Vinceva e basta. Con tutto il rispetto per lui, le leggende e gli impiegati, sembrava un impiatgato della leggenda. Un travet con l'ufficetto in zona mito.
A Gilles Villeneuve ogni ferrarista gridò "ti amo! ", a uno come Michael Schumacher in versione pre 2006 ciascun tifoso medio al massimo dell'eccitazione gli ha sussurrato "ti stimo".
Le cose cambiano quando l'ultraquarantenne si rimette al volante della Mercedes. Perché stenta a vincere. Anzi, con la WO1 e la W02 manco se lo sogna. A volte battaglia a coltello nella pancia dal gruppo con gente che anni prima non avrebbe voluto come autista di famiglia. Le prende spesso e malvolentieri da Rosberg, si segnala per un'inedita propensione all'imprecisione aggressiva, oltre a confermarsi all'occorrenza scorretto per il solo gusto di esserlo, come nella stretta da manette rifilata a Barrichello all'Hungaroring 2010.
Però andiamo oltre. I mesi, le stagioni passano e Schumacher lentamente non peggiora. No, no, migliora. La forbice del distacco in prova col fortissimo Nico Rosberg invece di allargarsi ingloriosamente, costantemente si restringe. Non è possibile, per la cervellotica struttura delle qualificazioni, produrre statistiche omogenee e correttamente leggibili, eppure risulta chiaro che alle batoste di 15-4 del 2010 e di 16-3 del 2001, nel 2012 Schumi risponde a Nico accusando un onorevole 7-8 - nel weekend in cui annuncia il ritiro - che profuma di una clamorosamente raggiunta quasi parità. Poche storie, Schumi ormai guida bene, anche sul giro secco. Ogni anno, dei tre, è andato meglio rispetto all'altro.
Una F.1 che è cambiata
Il problema è a monte. Non è più uomo squadra, ma quelle della F.1 attuale non sono più squadre in cui un solo uomo possa ribaltarne i destini.
Nella seconda metà degli Anni '90 in Ferrari Schumi volendo era disponibile a percorrere 15.000-20.000 km all'anno, quasi come un tester tipo Larini o Badoer. Nel Circus dell'austerity mondiale un pilota più di 1.500-2.000 km di prove primaverili, se tutto va bene, proprio non può fare. E Dio sa quanto Michael avrebbe avuto bisogno e voglia di girare indefinitamente per togliere ruggine a se stesso e secondi alle sue malriuscite Mercedes. Non è andata così. Solo ore e ore al simulatore e niente più, da qui la storia di una sua sindrome da test virtuale, con tanto di nausea. E poi il suo sfogo contro le gomme Pirelli, alle cui mescole - di burro fuso, pro show Tv - mal si adatta. Lui, che negli anni d'oro era abituato a tre-quattro stint a vita persa con coperture ultrasoffici, da polverizzare in run di gara vissuti quali qualificazioni cucite una sull'altra. Su, diciamolo: a tratti, in "questa" F.1, Schumi si è sentito confuso come un camaleonte in una vasca di Smarties.
Momenti belli e commoventi
Certo, poi ci sono le cose belle. Quelle che hanno commosso anche chi non lo sopporta. Le fiammate che, guarda caso, ha mostrato sulle piste della sua era, Montrèal compresa. Le corsone disputate puntualmente a Spa, quando sente l'odore delle
Prodezze, emozioni, folklore, nostalgia. Se la F.1 piatta e monotematica di questi tre anni - che gira-gira, oltre a mostrare i sequel dell'eterna doppia sfida Ferrari-Red Bull, fa fatica a raccontare storie forti e vere -, ha vissuto momenti belli e caldi è a uno come Schumi che deve dire grazie. Anche per la festa dei suoi 20 anni in F.1, poi quella dei 300 Gp corsi, più il ritorno sul podio a Valencia.
No, il suo non è stato un fallimento agonistico e tantomeno un declino anagrafico. Ha guidato e guida bene, eccome. Con errori e incertezze che contraddistinguono una militanza in mezzo al gruppo, altro che sviste per poca vista. «A Singapore - commenta Arturo Merzario -, credo abbia toccato una delle 14 manopole che bisogna girare su questa F1 pazzesca e paradossale; per farlo s'è distratto ed è successo il patatrac. Per il resto sul pilota Schumacher 43enne, nulla da dire. Anzi, se negli anni d'oro mí sapeva odioso, adesso mi piace».
E quel suo giustificarsi nel dopo-crash finalmente parlando italiano, con Stella Bruno che lo pungola usando il microfono come un cotton fioc da girare dentro un'orecchia infiammata, è un altro dei pezzi antologici del nuovo-vecchio Schumi: «Tu no, ma io ho capito quello che è successo». Una risposta così vale mezzo ingaggio della Mercedes a Hamilton.
L'appannamento è della Mercedes
Quando hai una monoposto da esser primo, fai più fatica a sbagliare. Anzi, non sbagli mai. Eccolo il punto. La verità è che la Mercedes ha floppato tre macchine di fila e con le ex BrawnGp dalla W nel prefisso non avrebbe cavato un ragno dal buco neanche Alonso. Una catastrofe che per una grande Casa ha precedenti recenti solo nella Toyota, con una differenza che per Schumi si è rivelata devastante: la Stella d'Argento una gara iridata è riuscita a vincerla, in Cina, e per giunta con Rosberg. Giusto, meritato. Però va anche detto che se lo ricorressero altre 20 volte con le stesse macchine, quel Gp la modesta W03 non lo rivincerebbe mai più. C'è poco da fare, è andata così. Quest'anno la W03 di Schumi ha assommato più ritiri di qualsiasi altra monoposto, raramente per errori commessi da lui e molto spesso per mancanza d'affidabilità, in un'era in cui in F.1 la macchina in gara non si rompe più a nessuno. Eppoi, calma, siamo sicuri che smetta davvero? Nelle parole pronunciate alla conferenza stampa di Suzuka, in fondo, ha detto chiaro solo che ritirandosi è contento d'essersi tolto un peso dallo stomaco. Ma le motivazioni sono intatte. Non sono parole da ex pilota. A farlo fuori è il mercato isterico della F.1, non certo l'anagrafe.
Uno che s'è stufato di correre usa altri concetti. Ci va giù bello pesante, con argomentazioni dettagliatamente conclusive di una parentesi esistenziale che il tedesco s'è ben guardato dal chiudere giurando che resterà chiusa. E attenzione, perché con uno così non è finita finché non è finita.
In ogni caso, almeno per ora, vale la pena di attenersi ai fatti. La verità è che Schumi, con gli sprazzi che ha sfoggiato e pur con quello che si è ritrovato e in questi ultimi Gp ha per le mani, ha dimostrato di poter stare nell'empireo dei campioni per sempre, abitato da gente come Andretti, Fittipaldi e Mansell. E, a differenza di cinque anni fa, ora sappiamo che magari se ne va il pilota, ma l'uomo c'è, c'è davvero. E l'Uomo resta. Danke, Kaiser. • (da Autosprint 16 - 22 ottobrte 2012)
Quando hai una monoposto da esser primo, fai più fatica a sbagliare. Anzi, non sbagli mai. Eccolo il punto. La verità è che la Mercedes ha floppato tre macchine di fila e con le ex BrawnGp dalla W nel prefisso non avrebbe cavato un ragno dal buco neanche Alonso. Una catastrofe che per una grande Casa ha precedenti recenti solo nella Toyota, con una differenza che per Schumi si è rivelata devastante: la Stella d'Argento una gara iridata è riuscita a vincerla, in Cina, e per giunta con Rosberg. Giusto, meritato. Però va anche detto che se lo ricorressero altre 20 volte con le stesse macchine, quel Gp la modesta W03 non lo rivincerebbe mai più. C'è poco da fare, è andata così. Quest'anno la W03 di Schumi ha assommato più ritiri di qualsiasi altra monoposto, raramente per errori commessi da lui e molto spesso per mancanza d'affidabilità, in un'era in cui in F.1 la macchina in gara non si rompe più a nessuno. Eppoi, calma, siamo sicuri che smetta davvero? Nelle parole pronunciate alla conferenza stampa di Suzuka, in fondo, ha detto chiaro solo che ritirandosi è contento d'essersi tolto un peso dallo stomaco. Ma le motivazioni sono intatte. Non sono parole da ex pilota. A farlo fuori è il mercato isterico della F.1, non certo l'anagrafe.
Uno che s'è stufato di correre usa altri concetti. Ci va giù bello pesante, con argomentazioni dettagliatamente conclusive di una parentesi esistenziale che il tedesco s'è ben guardato dal chiudere giurando che resterà chiusa. E attenzione, perché con uno così non è finita finché non è finita.
In ogni caso, almeno per ora, vale la pena di attenersi ai fatti. La verità è che Schumi, con gli sprazzi che ha sfoggiato e pur con quello che si è ritrovato e in questi ultimi Gp ha per le mani, ha dimostrato di poter stare nell'empireo dei campioni per sempre, abitato da gente come Andretti, Fittipaldi e Mansell. E, a differenza di cinque anni fa, ora sappiamo che magari se ne va il pilota, ma l'uomo c'è, c'è davvero. E l'Uomo resta. Danke, Kaiser. • (da Autosprint 16 - 22 ottobrte 2012)
3 commenti:
Danke Michael! tutte le emozioni che ci hai dato in Ferrari e quelle che sei nonostante tutto riuscito a regalarci in questi tre anni saranno indimenticabili. Hai lasciato un segno indelebile della tua professionalità e del tuo coraggio sia nella F.1 che, nella storia della Ferrari!
SEMPRE CON TE!
Si DANKE anche perchè ... "ora sappiamo che magari se ne va il pilota, ma l'uomo c'è, c'è davvero. E l'Uomo resta". Che dopo Singapore avrei letto questo su Autosprint non ci credevo, i miracoli avvengono e Michael li fa. GRANDISSIMO!
Se non fosse un grande non saremmo qui a parlarne e non solo! Michael merita stima, riconoscenza ed affetto per quello che è stato capace di fare. Il mondo della F.1 è un mondo ingrato, ingiusto e specialmente ultimamente, governato dal mercato che ruota esclusivamente intorno a giovani
" promesse" con super sponsor dietro le spalle. Ma Michael è e sarà sempre il campione e l'uomo eccezionale che abbiamo avuto la fortuna di ammirare e di seguire.
di nuovo GRAZIE MICHAEL
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