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mercoledì 17 ottobre 2012

SCHUMI MAI DIRE MAI

Cosa resta del mito Schumacher? La rentrée sterile l’ha demolito o piuttosto umanamente rafforzato? E poi siamo sicuri che il Kaiser ne abbia abbastanza?
                                                               di Marco Donnini
Sull’addio a fine stagione tra Schumi e la Mercedes è stato spiegato tutto. Non c'è nulla da aggiungere, la situazione è chiara. È solo questione di tempo. Non è più l'ora delle notizie, questa, ma delle riflessioni.
Da focalizzare, semmai, è solo il versante dei bi­lanci agonistici ed esistenziali di questa esperien­za. In altre parole, è stata davvero un fallimento, tanto da sbiadire la sua immagine? E per quali motivi, per la prima volta nella sua vita, Michael non è riuscito a fare la differenza, cucendosi ad­dosso la macchina? Di più. L'eptacampione, che in queste 3 stagioni e in 53 gare non ha mai rischiato di vincerne una, s'è mostrato davvero bollito? E il confronto col compagno di colori Rosberg s'è rivelato complessivamente imbarazzante?
Di certo c'è solo il punto di partenza. Michael Schumacher era tornato per vincere. Il "cosa" era trattabile. Minimo alcuni Gran Premi, massimo l'ottavo titolo.
A fine 2010 il quotidiano svizzero Blick stimava che l'introito annuale del ritorno di Schumacher per la stagione - appena terminata con uno spa­ventosa collisione con Liuzzi a Abu Dhabi -, era stimabile in circa 21 milioni di euro pagati dalla Mercedes, un terzo dei quali coperto dagli spon­sor, più un movimento complessivo attivo di ca­pitali - comprendente sponsor personali, attività promozionali, marketing, introiti di merchandi­sing e indotto vario - stimabile attorno ai 50 milio­ni di euro annuali.
Quando ha rinnovato per il 2012, in tempi di cri­si mondiale, di pensoso buon senso Mercedes e con un palmarés recente non irresistibile, il Kai­ser è passato a un contratto di 8 milioni di euro annuali più quasi altrettanti garantiti dagli spon­sor personali. In poche parole, relativamente a questi tre anni, Schumi passa alla storia - e mol­to probabilmente ci resterà per sempre -, per es­sere il pilota non vincente meglio pagato di tut­ti i tempi.
Detto questo, le sue antiche parole dell'inverno 2009: «Torno ai Gp per puro divertimento» si ver­niciano d'una patina di simpatica paraculaggine, smentibile solo se si riconosce che oltre a correre in Formula 1 anche ritirare i bonifici in banca, in fondo, risulta essere piuttosto divertente
Spinte motivazionali profonde
Però c'è dell'altro. Schumi resta un personaggio dal magnetismo mediatico unico. Uno che, volen­do, qualsiasi cosa fa, guadagna. Pure senza corre­re. Quindi i soldi non possono essere stati la molla esclusiva o prevalente della sua rentrée.
E qui si entra nell'esistenziale. Il movente preva­lente del ritorno è stato un altro. Dirsi che non è finita. E crederci. A un'età in cui hai già indagato la vita e la vita stessa comincia a indagare la tua prostata, combattere il tempo. Prolungare qua­si faustianamente la giovinezza in una volontà di potenza esprimibile in una rassicurante competi­tività ritrovata.
Sì, l'ha fatto per questo e per un altro motivo. Per­ché ha fegato. In fondo nei due anni precedenti, piuttosto che godersi la vita, s'era vestito da cen­tauro con una monopezzo in pelle, sparandosi a trecento all'ora sulle piste di mezza Europa in sel­la a una derivata di serie. In poche parole, la cosa più pericolosa concepibile nel motorsport, a parte correre il Tourist Trophy e le altre classiche stra­dali. E mica per soldi: per una merendina. Rischiando di rompersi l'osso del collo e andando­ci anche ragionevolmente vicino.
Un uomo, non più un ragazzo
Eccolo, è fatto così l'uomo maturo che ha deciso di entrare gioiosamente in questo triennio spigo­loso, periodo lucido e argentato come una Mercedes, ma che somiglia pure a un tritacarne.
Lui è ben diverso dal ragazzo perfettino, agoni­sticamente scorrettino ma strategicamente e velocisticamente micidiale che aveva vinto 7 titoli lasciando la maggioranza della gente ammiratissima ma un po' frigidina. Perché Schumi parlava ore e ore senza dire niente. E mai in italiano. Vinceva e basta. Con tutto il rispetto per lui, le leggende e gli impiegati, sembrava un impiatgato della leggenda. Un travet con l'ufficetto in zona mito.
A Gilles Villeneuve ogni ferrarista gridò "ti amo! ", a uno come Michael Schumacher in versione pre 2006 ciascun tifoso medio al massimo dell'eccita­zione gli ha sussurrato "ti stimo".
Le cose cambiano quando l'ultraquarantenne si rimette al volante della Mercedes. Perché stenta a vincere. Anzi, con la WO1 e la W02 manco se lo sogna. A volte battaglia a coltello nella pancia dal gruppo con gente che anni prima non avrebbe vo­luto come autista di famiglia. Le prende spesso e malvolentieri da Rosberg, si segnala per un'inedi­ta propensione all'imprecisione aggressiva, oltre a confermarsi all'occorrenza scorretto per il solo gu­sto di esserlo, come nella stretta da manette rifila­ta a Barrichello all'Hungaroring 2010.
Però andiamo oltre. I mesi, le stagioni passano e Schumacher lentamente non peggiora. No, no, mi­gliora. La forbice del distacco in prova col fortissimo Nico Rosberg invece di allargarsi ingloriosamente, costantemente si restringe. Non è possibile, per la cervellotica struttura delle qualificazioni, produrre statistiche omogenee e correttamente leggibili, ep­pure risulta chiaro che alle batoste di 15-4 del 2010 e di 16-3 del 2001, nel 2012 Schumi risponde a Ni­co accusando un onorevole 7-8 - nel weekend in cui annuncia il ritiro - che profuma di una clamorosa­mente raggiunta quasi parità. Poche storie, Schumi ormai guida bene, anche sul giro secco. Ogni anno, dei tre, è andato meglio rispetto all'altro.
Una F.1 che è cambiata
Il problema è a monte. Non è più uomo squadra, ma quelle della F.1 attuale non sono più squadre in cui un solo uomo possa ribaltarne i destini.
Nella seconda metà degli Anni '90 in Ferrari Schumi volendo era disponibile a percorrere 15.000-20.000 km all'anno, quasi come un tester tipo Larini o Ba­doer. Nel Circus dell'austerity mondiale un pilota più di 1.500-2.000 km di prove primaverili, se tutto va bene, proprio non può fare. E Dio sa quanto Mi­chael avrebbe avuto bisogno e voglia di girare in­definitamente per togliere ruggine a se stesso e se­condi alle sue malriuscite Mercedes. Non è andata così. Solo ore e ore al simulatore e niente più, da qui la storia di una sua sindrome da test virtuale, con tanto di nausea. E poi il suo sfogo contro le gomme Pirelli, alle cui mescole - di burro fuso, pro show Tv - mal si adatta. Lui, che negli anni d'oro era abitua­to a tre-quattro stint a vita persa con coperture ul­trasoffici, da polverizzare in run di gara vissuti qua­li qualificazioni cucite una sull'altra. Su, diciamolo: a tratti, in "questa" F.1, Schumi si è sentito confu­so come un camaleonte in una vasca di Smarties.
Momenti belli e commoventi
Certo, poi ci sono le cose belle. Quelle che hanno commosso anche chi non lo sopporta. Le fiamma­te che, guarda caso, ha mostrato sulle piste della sua era, Montrèal compresa. Le corsone disputa­te puntualmente a Spa, quando sente l'odore delle conifere delle Ardenne, partendo perfino da ultimo, piuttosto che il controsorpasso a Biassono rifilato a Hamilton, a Monza, l'anno scorso, dopo una difesa strenua, ché se l'avessimo visto su un film di Stallo­ne ci saremmo alzati e avremmo abbandonato sala, cinema e pop corn, perché nelle corse vere cose si­mili mica possono succedere. Certo, c'è pure la po­le presa ma scippata di Montecarlo, nell'unico e ul­timo pomeriggio 2012 in cui la sua Mercedes W03 era valida come avrebbe dovuto ogni dì.
Prodezze, emozioni, folklore, nostalgia. Se la F.1 piatta e monotematica di questi tre anni - che gira-gira, oltre a mostrare i sequel dell'eterna doppia sfi­da Ferrari-Red Bull, fa fatica a raccontare storie for­ti e vere -, ha vissuto momenti belli e caldi è a uno come Schumi che deve dire grazie. Anche per la fe­sta dei suoi 20 anni in F.1, poi quella dei 300 Gp cor­si, più il ritorno sul podio a Valencia.
No, il suo non è stato un fallimento agonistico e tan­tomeno un declino anagrafico. Ha guidato e guida bene, eccome. Con errori e incertezze che contrad­distinguono una militanza in mezzo al gruppo, al­tro che sviste per poca vista. «A Singapore - com­menta Arturo Merzario -, credo abbia toccato una delle 14 manopole che bisogna girare su questa F1 pazzesca e paradossale; per farlo s'è distratto ed è successo il patatrac. Per il resto sul pilota Schuma­cher 43enne, nulla da dire. Anzi, se negli anni d'oro mí sapeva odioso, adesso mi piace».
E quel suo giustificarsi nel dopo-crash finalmente parlando italiano, con Stella Bruno che lo pungola usando il microfono come un cotton fioc da girare dentro un'orecchia infiammata, è un altro dei pezzi antologici del nuovo-vecchio Schumi: «Tu no, ma io ho capito quello che è successo». Una risposta co­sì vale mezzo ingaggio della Mercedes a Hamilton.
L'appannamento è della Mercedes
Quando hai una monoposto da esser primo, fai più fatica a sbagliare. Anzi, non sbagli mai. Eccolo il punto. La verità è che la Mercedes ha floppato tre macchine di fila e con le ex BrawnGp dalla W nel prefisso non avrebbe cavato un ragno dal buco ne­anche Alonso. Una catastrofe che per una grande Casa ha precedenti recenti solo nella Toyota, con una differenza che per Schumi si è rivelata deva­stante: la Stella d'Argento una gara iridata è riu­scita a vincerla, in Cina, e per giunta con Rosberg. Giusto, meritato. Però va anche detto che se lo ri­corressero altre 20 volte con le stesse macchine, quel Gp la modesta W03 non lo rivincerebbe mai più. C'è poco da fare, è andata così. Quest'anno la W03 di Schumi ha assommato più ritiri di qualsia­si altra monoposto, raramente per errori commessi da lui e molto spesso per mancanza d'affidabilità, in un'era in cui in F.1 la macchina in gara non si rompe più a nessuno. Eppoi, calma, siamo sicuri che smet­ta davvero? Nelle parole pronunciate alla conferen­za stampa di Suzuka, in fondo, ha detto chiaro so­lo che ritirandosi è contento d'essersi tolto un peso dallo stomaco. Ma le motivazioni sono intatte. Non sono parole da ex pilota. A farlo fuori è il mercato isterico della F.1, non certo l'anagrafe.
Uno che s'è stufato di correre usa altri concetti. Ci va giù bello pesante, con argomentazioni dettaglia­tamente conclusive di una parentesi esistenziale che il tedesco s'è ben guardato dal chiudere giu­rando che resterà chiusa. E attenzione, perché con uno così non è finita finché non è finita.
In ogni caso, almeno per ora, vale la pena di atte­nersi ai fatti. La verità è che Schumi, con gli sprazzi che ha sfoggiato e pur con quello che si è ritrovato e in questi ultimi Gp ha per le mani, ha dimostrato di poter stare nell'empireo dei campioni per sempre, abitato da gente come Andretti, Fittipaldi e Man­sell. E, a differenza di cinque anni fa, ora sappiamo che magari se ne va il pilota, ma l'uomo c'è, c'è dav­vero. E l'Uomo resta. Danke, Kaiser. • (da Autosprint 16 - 22 ottobrte 2012)

3 commenti:

Eugenia ha detto...



Danke Michael! tutte le emozioni che ci hai dato in Ferrari e quelle che sei nonostante tutto riuscito a regalarci in questi tre anni saranno indimenticabili. Hai lasciato un segno indelebile della tua professionalità e del tuo coraggio sia nella F.1 che, nella storia della Ferrari!
SEMPRE CON TE!

Unknown ha detto...

Si DANKE anche perchè ... "ora sappiamo che magari se ne va il pilota, ma l'uomo c'è, c'è dav­vero. E l'Uomo resta". Che dopo Singapore avrei letto questo su Autosprint non ci credevo, i miracoli avvengono e Michael li fa. GRANDISSIMO!

Eugenia ha detto...


Se non fosse un grande non saremmo qui a parlarne e non solo! Michael merita stima, riconoscenza ed affetto per quello che è stato capace di fare. Il mondo della F.1 è un mondo ingrato, ingiusto e specialmente ultimamente, governato dal mercato che ruota esclusivamente intorno a giovani
" promesse" con super sponsor dietro le spalle. Ma Michael è e sarà sempre il campione e l'uomo eccezionale che abbiamo avuto la fortuna di ammirare e di seguire.
di nuovo GRAZIE MICHAEL